Corso per Curatori 2017: Eleonora Schianchi
Accademia delle Belle Arti di Bologna
Bente Skjøttgaard, ceramista danese si racconta in un’intervista, incontro/scontro con le opere di Zauli. Per entrambi tutto si basa sul lavorare con forma, colore, terra e fuoco in una ricerca inarrestabile ed in continua evoluzione.
Forma, colore terra e fuoco: Carlo Zauli e Bente Skjøttgaard
Perchè è appunto dall’incontro tra forma e colore, tra terra (allo stato di zolla argillosa), fuoco (il gran fuoco dei 1200°C come elemento fecondante) e colore, […] che può prendere vita e diventare duratura e perenne, quella che inizialmente era soltanto la larva d’un’idea, l’immagine ancora impalpabile d’un sogno plastico.
Due realtà all’apparenza completamente differenti come quella di Carlo Zauli (Faenza, 1926) e Bente Skjøttgaard (Copenhagen, 1961) si incontrano quindi grazie ai tre denominatori caratterizzanti della ceramica di cui parla Gillo Dorfles: terra, colore e fuoco.
La connessione dei due ceramisti con argilla e smalti, è anche materia di ricerca in continua evoluzione. Il grumo d’argilla è materia primordiale, natura in stato di potenza aristotelico che le mani del ceramista sono capaci di trasformare in atto: l’opera.
Lo stesso Zauli scriverà: Profondamente sono un uomo che ama un ‘grumo’ di argilla, che vuole vitalizzarlo, dargli piano piano forma, esaltando e riordinando i suoi infiniti ritmi e le sue misteriose tensioni che in esse si nascondono. La vita è infatti secondo il ceramista faentino insita nell’argilla ancora prima della sua lavorazione, perché essa porta con sé tracce di un passato a noi sconosciuto; impressioni di altre esistenze che si fondono con il fare dell’artista.
La malleabilità del grumo materico viene riscoperta invece da Bente Skjøttgaard ogni volta in maniera differente grazie alla pressione esercitata da mani, dita e polpastrelli, che creano forme affusolate all’interno dei cui solchi e rientranze lo smalto si accumula e sedimenta con modalità sempre inedite.
Le sue forme vengono create dall’interazione tra intuizione e controllo: lei stessa considera l’imprevedibilità dei risultati ottenuti tramite la cottura un dono, e sottolinea che scegliere come usarli stia sempre a chi crea.
Lo smalto, invece, non è solo una copertura, come mi ripete severamente la ceramista danese mentre parliamo dei suoi lavori. Lo smalto è molteplicità di strati sovrapposti e potenzialmente infiniti, è imprevedibilità del risultato delle mescolanze dei colori esposti ad alte temperature, è sfida e ricerca continua.
Caratteristica ancor oggi derivante dalla sua collaborazione con la Royal Copenghagen è invece il dosaggio delle polveri che Skjøttgaard utilizza per creare i suoi smalti, che poi fa colare sulle sue opere da diverse direzioni sulle sue opere. Le superfici irregolari delle sue opere necessitano molteplici stratificazioni, alcune parti quasi rigettano lo smalto facendolo scivolare via mentre altre ne accumulano grandi quantità.
L’opera si muove, si contorce, il liquido si accumula in vere e proprie nicchie oppure si sedimenta nei “Floor vases”, vasi a pavimento, quasi fossero schiacciati dal peso dello smalto stesso. La cottura (a 1200°C per Zauli e a 1280°C per Skjøttgaard) determina e sigilla il passaggio da natura in potenza a natura in atto, includendo nel processo l’elemento dell’imprevedibilità.
Skjøttgaard ingloba questi elementi all’interno della sua stessa poetica, in quanto le reazioni chimiche della materia in cottura danno risultati inediti e che, come lei stessa dice, Sicuramente mi hanno permesso di ottenere qualcosa che non sarei stata in grado di fare da sola con modalità studiate ed in un ambiente controllato.
Molti lavori vengono distrutti subito dopo la cottura, gli stessi processi replicati più volte e spesso sono necessari molteplici tentativi prima di riuscire nell’intento. Skjøttgaard ne è consapevole e considera il tutto parte di un processo necessario e fondamentale per la creazione delle sue opere. Ogni lavoro è un microcosmo di intento e razionalità che si fondono perfettamente con l’imprevedibile, l’ignoto.
Le opere dei due ceramisti sono riflessi di un universo paradossalmente armonioso e caotico allo stesso tempo: due facce della stessa medaglia visibili con un unico colpo d’occhio. I loro elaborati hanno come punto di partenza la natura, potenza creatrice dall’intrinseca bellezza ed armonia ma anche tetra e misteriosa.
La sua complessità permette a Zauli e Skjøttgaard di farsi ispirare, per poi lasciarsi andare ad una creazione dettata da impressioni e sensazioni. Ne è esempio la produzione di Skjøttgaard a partire dal 2009, quando tenta di togliere alla materia il suo stesso peso lasciandosi ispirare liberamente dai cumulonembi e dal loro naturale fluttuare nell’atmosfera. Queste ultime non sono altro che nubi a forte sviluppo verticale che si generano in condizioni di instabilità atmosferica, caratterizzate dall’accumularsi in formazioni sempre più grandi e complesse: la ceramista danese si dirige verso questa direzione realizzando strutture sempre più imponenti ed intricate.
L’interesse per fenomeno in quanto punto di partenza scientifico è solo il punto di partenza, per poi giungere a composizioni immaginarie di nuvole la cui conformazione e colore cambia continuamente. Sono elementi colorati, dalle tonalità arancio, rosa e viola: i colori del cielo e, ancora una volta, quelli della natura. L’equilibrio e la sinuosità delle forme iniziali per entrambi gli artisti andrà presto a misurarsi con questa duplice valenza della natura che sfocerà in approcci differenti.
Gli Sconvolti sono la risposta di Zauli, che comincia ad impartire violenze, lacerare ed a piegare i vasi. Anche quella della ceramista danese è una rottura consapevole con la ceramica dei vasi e ciotole, “porto sicuro” per i ceramisti e che aveva caratterizzato, come per Zauli, la sua produzione iniziale: le strutture si fanno ora labirintiche, caotiche. La loro turbolenza sembra portare alle estreme conseguenze i fragili equilibri dei Fremiti Naturali del maestro faentino; le forme si curvano su se stesse, si attorcigliano in nervose protuberanze ed escrescenze grumose che ricordano rami strappati, radici sinuose o nuvole.
Il fremito continuo del cambiamento non è solo caratteristica delle opere ma anche della ricerca artistica, inesauribile ed in continuo approfondimento. Secondo Zauli Un artista deve ricercare continuamente; se si ferma a un clichè è finito, allora farebbe meglio a smettere di lavorare. Lo dimostra il suo utilizzo di argille provenienti dai luoghi più disparati perché incapace di continuare ad accontentarsi di quelle faentine: la sua ricerca si estende dall’Inghilterra alla Francia, dalla Cecoslovacchia alla Germania Centrale. Né si accontenta degli smalti, tanto da iniziare ad utilizzare materie quali la cenere di legno, stagno, zirconio, silice e quarzi per ottenere il suo “bianco Zauli”.
Dal canto suo Skjøttgaard si lascia ispirare da elementi della natura sempre differenti: da nuvole a rami, da concentrazioni di nuvole oppure oppure dalle forme di vita proveniente dalle profondità degli abissi. I suoi smalti, infine, sono esperimenti continui con diversi dosaggi di polveri; le sue innumerevoli prove vengono catalogate al momento della colatura. Le fonti di ispirazione e l’istante della creazione non sono quindi soltanto piacevoli, non esiste copia mimetica della natura per i due ceramisti né punto fisso e di eterno ritorno all’interno della loro ricerca.
Tutto è in continuo divenire, ogni opera ha alla base il ricordo di quelle precedenti, in uno sperimentalismo che caratterizza le loro intere produzioni.
Bibliografia e Sitografia
Zauli racconta Zauli di Fiorenza Sarzi Amadè
http://museozauli.it
http://www.skjoettgaard.dk/
http://www.skjoettgaard.dk/text-1.htm
http://www.skjoettgaard.dk/text-2.htm http://www.skjoettgaard.dk/img/BS_PRESSE_CC_UK_2014.pdf http://museozauli.it/antologia-critica/