A cura di Flaminio Gualdoni
Catalogo Silvana Editoriale
Si tratta di un ambizioso progetto il cui carattere marcatamente storicistico e quasi istituzionale è sottolineato dalla co-partecipazione del Museo Carlo Zauli di Faenza anch’esso sede – dal 29 novembre al 29 dicembre – dell’evento; scelta legata sia al fatto che il Museo è dedicato ad uno dei protagonisti della mostra, ma soprattutto connessa al forte valore simbolico della città di Faenza, epicentro professionale comune a tutti e quattro gli artisti.
La mostra ruota intorno a quattro grandi scultori nel periodo del dopoguerra, Fontana, Leoncillo, Valentini , Zauli e mostra il filo doppio che li lega, partendo proprio dal suo titolo “Un probabile umore dell’idea”.
La particolare definizione di Emilio Villa sulla vicenda dell’arte italiana nel secondo dopoguerra esprime quell’idea di scultura che unisce i quattro grandi maestri: la ricerca di una scultura non più prigioniera dei propri protocolli formali, scaturita da un diverso rapporto con la materia, che si trasforma in vitale alito poetico, per offrire uno spaccato, sia eterogeneo che armonioso, della scultura del secondo ‘900.
Nel passaggio tra gli anni ’50 e ’60 vengono a confronto due generazioni risolutive le quali si pongono la questione della ricerca di “una scultura necessaria e capace di farsi corpo plastico dotato di senso” e che superi la definizione martiniana di “Scultura Lingua Morta”.
Da qui nasce l’idea del confronto proposto dalla mostra fra Fontana, Leoncillo, Valentini e Zauli.
La mostra esplora il percorso che muove dalla lezione dei due grandi maestri, Fontana con il suo rapporto di profonda intimità con la materia, d’una complicità quasi erotica, e Leoncillo che sa vedere un nuovo oggetto nella materia trasformata con stratificazioni, solchi e strappi, che in realtà sono quelli del nostro essere più intimo. Attraverso le loro opere, il percorso espositivo porta in evidenza il substrato necessario e fondante che negli anni ’60 porta all’opera di Nanni Valentini e Carlo Zauli, che pur fedeli al linguaggio della terra, determinano schiusure decisive nel dibattito scultoreo, alla ricerca di quelle “forme, colori e materiali che possano suscitare direttamente un’emozione”.
In mostra, tra gli altri, pezzi molto significativi come Concetto Spaziale (1962) di Fontana, un inedito, mai pubblicato e presentato per la prima volta in una mostra, l’evocativo San Sebastiano (1963) di Leoncillo, il concettuale Cubo (1976) di Valentini e il fluente e oscuro Arata (1976) di Zauli.
La mostra, è accompagnata da due speciali eventi.
La coppia Open Duo collabora già da tempo con realtà appartenenti al mondo delle Arti Visive, esibendosi con consuetudine, fra l’altro, presso importanti Musei d’Arte italiani, come la GAM di Torino. Open Duo, composto dai musicisti Donato D’Antonio alla chitarra e Roberto Noferini al violino, propone per l’occasione brani di Ibert, Paganini, Ravel, Bartok, Aki, Piazzola.